ANNO 14 n° 119
Proust in cucina Ballando al sole
>>>> di Massimiliano Capo <<<<
08/12/2014 - 00:00

di Massimiliano Capo

VITERBO - A volte uno ha paura, a volere, paura di non riuscire. Ed io ho avuto tante paure, mi sono gonfiato come un dirigibile ma tenendo sempre le corde attaccate alla terra. E’ stato quando tirava vento, che non potevo far nulla per te, che mi sono sentito poco importante, per godere della tua stima. Un vero uomo deve sempre puntare su una meta, piccola o grande che sia, si deve dare alla cosa con sacrificio e volontà. So di volere una cosa, ancora non so di preciso, ma un giorno saprò e mi ci conficcherò dentro. Da piccoli ci vien chiesto tu da grande cosa vuoi diventare. E’ tutto qui. Un pittore.

Renato

Camminavo per il prato, e ho visto un fiore bianco, profumato: ho pensato subito a te e l’ho colto. Poi mi sono distratta, e quando ho fatto per sentirlo, il fiore non era più nella mia mano. Ho pensato di averti perduto. Sono tornata indietro e ne ho colto un altro, ma questo non dovevo perderlo, così l’ho mangiato. Era come serbarti dentro me per sempre. Da qui vedo gli archi dell’acquedotto romano che ridono, e un filare di pini. Vivo con l’ombra tua dietro le spalle.

Quando mi manchi sono un esclamativo senza il punto.

Paola 

Te ne sei andata con una giostra di uccelli intorno, con il valzer dell’amore addosso. Fra poco ti telefonerò perché il tempo che vivo senza te è soltanto attesa. Portavi la tua maglia azzurra piena di cose morbide che mi ossessionano le braccia, indolenzite dalla rinuncia di possederti tutta. E vorrei farti male, e ti ho baciato forte. Poi tu mi hai preso nel tuo calore di chioccia ed hai girato piano. Io non ero più un leone che baciava forte, io accanto alla mia donna rimasi a lungo a passeggiare tra una ciglia e l’altra.

Renato

La ragazzina dai capelli rossi mi ha chiesto dei libri perché aveva voglia di capire meglio l’arte contemporanea e a me è tornato in mente questo volumetto, Fiato d’artista, scritto da Paola Pitagora (lo dico per i più giovani: è un’attrice bravissima) che racconta, attraverso la sua storia d’amore con Renato Mambor (pittore e molto altro), la scena artistica romana tra la fine degli anni cinquanta e quella dei sessanta. Mambor è morto nei giorni scorsi così come prima di lui molti dei protagonisti di quelle pagine.

Tra le giostre e il valzer, i fiori e l’azzurro di un maglione di quel fascio di parole c’è la vita.

E le parole, che anche loro hanno un’aura: quanto più da vicino si guarda una parola, tanto più lontano essa guarda a sua volta. Lo ha scritto Karl Kraus e lo ha riscritto Walter Benjamin.

Che chiosa: nel mondo c’è tanta aura quanto vi rimane di sogno.

Il sogno ha a che fare con tante cose, e senza scomodare Freud Jung e l’ampia schiera di amici e nemici che li hanno seguiti e combattuti, ha a che fare con la nostro capacità e con la nostra voglia di immaginare il futuro, di sciogliere le corde che ancorano a terra il nostro essere una mongolfiera.

E ha a che fare con la fede, con la fiducia: senza fiducia non si costruisce alcun futuro, c’è futuro solo se possiamo credere o sperare in qualcosa. Lo dice, certamente meglio di me, Giorgio Agamben in un bell’articolo su Alfabeta2, che ha al centro la parola pistis che in greco sta per fede e con una mirabile e non casuale coincidenza sta anche per credito, quello che concedono le banche.

Ma restiamo alla fede, al credito di cui godiamo presso Dio e di cui la parola di Dio gode presso di noi quando le crediamo. Ecco, secondo la definizione paolina (è sempre Agamben a ricordarcelo) la fede è sostanza di cose sperate: conferisce realtà alle cose verso cui abbiamo fiducia ma non esistono ancora. Verso cui ci volgiamo con la forza della speranza e del desiderio.

L’indice storico delle immagini dice, infatti, non solo che esse appartengono a un’epoca determinata, ma soprattutto che esse giungono a leggibilità soltanto in un’epoca determinata. Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora, l’adesso, in una costellazione.

Ancora Benjamin, che mi è tornato in mente leggendo una articolo di Massimo Mantellini (CLICCA QUI) che a partire da una immagine che sta molto girando in rete (ci sono dei ragazzi ritratti in un museo impegnati a guardare lo schermo dei loro smartphone invece dei quadri intorno a loro. Tutto il pezzo gira intorno a questo invece) fa una serie di considerazioni assai condivisibili che chiosa così (Mantellini qui si riferisce al vizio di origine di coloro che si occupano di rete con la lente del pregiudizio): quello di sospettare tutto il peggio delle cose che non conosciamo. O di quelle che un giorno, dentro i nefasti labirinti della nostra età adulta, abbiamo osservato e sperimentato senza riuscire a capirle. Perché come scriveva Natalia Ginzburg nel suo saggio “La vecchiaia” eravamo troppo impegnati “a non meravigliarci più di niente”.

Ecco, meravigliamoci senza mai perdere la voglia di farlo ogni giorno ancora una volta come davanti al lesso in aspic di mamma Silvana.

Ingredienti

500 g di lingua di vitello

800 g di reale di vitello con osso

una carota

una cipolla

2 foglie di alloro

2 chiodi di garofano

100 g di sottaceti

80 g di prezzemolo

mezzo spicchio d’aglio

aceto

12 g di gelatina in fogli

sale, pepe

Portate a ebollizione una pentola di acqua con la carota, la cipolla, le foglie di alloro, i chiodi di garofano, un pugno di sale grosso e qualche grano di pepe; immergetevi la lingua e il reale e lessateli per almeno un’ora; spegnete, lasciate raffreddare, poi scolate le carni e filtrate il brodo.

Ammollate la gelatina in acqua fredda, strizzatela e scioglietela in 100 ml di brodo caldo. Mettete nel frullatore le foglie di prezzemolo con un pizzico di sale, 4 cucchiai di aceto e l'aglio; unite 100 ml di brodo freddo e frullate a lungo, poi aggiungete altri 300 ml di brodo; completate con il brodo gelatinato e mescolate bene.

Tagliate a fettine la carne, la lingua e i sottaceti e sistemateli in uno stampo della capacita di circa un litro, alternandoli.

Versate nello stampo il composto al prezzemolo in modo che copra tutta la carne e mettete in frigo per almeno 3 ore.

 





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